Pubblicato il Maggio 15, 2024

Contrariamente a quanto si pensi, la scelta tra ITS e Università non è una questione di ‘pratica vs. teoria’, ma una valutazione strategica del rischio occupazionale e del ritorno sull’investimento educativo.

  • Gli ITS offrono un inserimento lavorativo quasi immediato (87% di occupati a un anno) grazie alla co-progettazione con le aziende, ma espongono al rischio di obsolescenza delle competenze e a culture aziendali potenzialmente tossiche.
  • L’Università garantisce una base teorica più solida e l’accesso ai concorsi pubblici di alto livello, ma con un ritorno economico iniziale più lento e un maggiore rischio di mismatch con le richieste del mercato.

Raccomandazione: Valuta l’ITS come un acceleratore di carriera per entrare subito nel mercato, ma progetta fin dall’inizio un’architettura di carriera che preveda un’eventuale integrazione universitaria per garantire immunità all’obsolescenza e flessibilità a lungo termine.

La fine delle scuole superiori è un momento carico di ansia per studenti e genitori. La domanda che tutti si pongono non è più solo “cosa ti piacerebbe fare?”, ma una molto più pragmatica e pressante: “quale percorso di studi ti garantirà un lavoro stabile e ben retribuito in Italia?”. Da un lato, il prestigio della laurea universitaria, vista come passaporto per carriere di alto livello; dall’altro, la promessa concreta degli Istituti Tecnici Superiori (ITS Academy), che sventolano dati di occupabilità da record.

Il dibattito si arena spesso su una dicotomia semplicistica: l’università è teorica, l’ITS è pratico. Molti si concentrano solo sui tassi di assunzione immediati, trascurando i fattori di rischio a medio e lungo termine. Ma se la vera chiave non fosse scegliere l’uno o l’altro, ma capire come orchestrare i due percorsi in una strategia personale a prova di futuro? Se la scelta non fosse tra pratica e teoria, ma tra diversi profili di rischio occupazionale?

Questo articolo non si limiterà a confrontare due sistemi. In qualità di orientatore e recruiter, ti fornirò un’analisi onesta e basata sui dati per valutare il ritorno sull’investimento (ROI) educativo di entrambe le opzioni. Analizzeremo perché il modello ITS funziona così bene nell’immediato, ma esploreremo anche i pericoli nascosti, come l’obsolescenza delle competenze iper-tecniche e il burnout culturale nelle piccole e medie imprese. Infine, vedremo come e quando un diploma ITS può e deve essere integrato con una laurea, costruendo un’architettura di carriera solida e resiliente.

Per navigare questa decisione cruciale, abbiamo strutturato l’analisi in punti chiave che rispondono alle preoccupazioni più concrete di studenti e famiglie. Ecco cosa esploreremo nel dettaglio.

Perché il 90% dei diplomati ITS trova lavoro subito mentre molti laureati faticano?

La risposta non risiede in una generica “praticità”, ma in un modello formativo radicalmente diverso che inverte il paradigma universitario. Un corso ITS è co-progettato e co-gestito dalle aziende del territorio. Questo significa che il programma non è definito da accademici, ma dai futuri datori di lavoro, basandosi sulle loro reali e immediate necessità di competenze. L’immersione nel contesto lavorativo non è un’appendice finale (come lo stage universitario), ma il cuore del percorso fin dal primo trimestre.

I dati confermano l’efficacia di questo approccio. Secondo il monitoraggio nazionale INDIRE 2024, l’87% dei diplomati ITS trova lavoro entro 12 mesi, e di questi, il 93,8% in un settore coerente con gli studi. Questo perché gli studenti ITS non sono percepiti come neofiti da formare, ma come specialisti già “formattati” per le esigenze produttive, riducendo a zero il rischio e i costi di inserimento per l’impresa.

Un esempio emblematico è l’ITS per la Mobilità Sostenibile Aerospazio/Meccatronica di Torino, che forma tecnici specializzati per colossi come Leonardo e Thales Alenia Space. Gli studenti svolgono almeno 800 ore di stage direttamente in azienda, che non è un semplice tirocinio, ma un lungo e retribuito colloquio di lavoro. Questa simbiosi tra formazione e industria è il vero segreto del loro successo occupazionale. Come ha evidenziato Giovanni Brugnoli, Vicepresidente di Confindustria per il Capitale Umano:

Uno studente universitario entra in contatto con il mondo dell’impresa solo al secondo semestre dell’ultimo anno del proprio percorso triennale. Uno studente che inizia un corso ITS a settembre, a novembre è già in azienda a fare le prime esperienze sul campo.

– Giovanni Brugnoli, Vicepresidente di Confindustria per il Capitale Umano

Come superare le selezioni degli ITS più prestigiosi della Lombardia se non hai voti alti?

Una delle maggiori ansie per gli studenti è che voti non eccellenti possano precludere l’accesso ai percorsi migliori. Per gli ITS, fortunatamente, il voto di diploma è solo uno dei tanti criteri di valutazione, e spesso non il più importante. I recruiter degli ITS non cercano “studenti perfetti”, ma persone con potenziale, motivazione e attitudine per un determinato settore. Il colloquio motivazionale e la dimostrazione di interesse personale pesano enormemente.

È fondamentale capire che la selezione mira a ridurre il tasso di abbandono, non a creare una élite accademica. Vogliono assicurarsi che tu sia davvero interessato a quel mondo, perché un diplomato ITS che non trova lavoro è un fallimento per l’istituto stesso. A conferma di ciò, i dati nazionali sono rassicuranti: l’88,5% dei candidati alle prove di selezione risulta idoneo, dimostrando che l’accesso è tutt’altro che proibitivo per chi è motivato.

Quindi, come puoi fare la differenza se la tua pagella non brilla? Devi spostare l’attenzione dai voti alle competenze e alla passione dimostrabile. Prepara un piccolo portfolio che racconti chi sei al di là della scuola. Questo approccio proattivo dimostra maturità e dedizione, qualità che nessun 8 in matematica può comunicare da solo. È il tuo “ROI educativo” potenziale che viene valutato, non solo il tuo passato scolastico.

Il tuo piano d’azione per una candidatura ITS di successo

  1. Documenta i tuoi progetti personali: Hai creato un piccolo sito web, smontato e rimontato un motore, o gestito un blog su un argomento tecnico? Raccogli tutto. Sono la prova tangibile della tua passione.
  2. Traduci le esperienze extra-scolastiche: Il lavoretto estivo o il volontariato ti hanno insegnato a lavorare in team o a risolvere problemi? Mettilo in luce come una soft skill preziosa.
  3. Allenati sui test specifici: Le selezioni includono spesso test di logica e comprensione del testo tecnico, anche in inglese. Esercitati con simulazioni online per non arrivare impreparato.
  4. Costruisci una motivazione a prova di bomba: Durante il colloquio, non dire “mi piace l’informatica”. Spiega perché ti interessa *quel* settore, cosa ti affascina di *quella* tecnologia e come ti vedi in *quelle* aziende partner.
  5. Mostra le tue competenze digitali: Hai seguito corsi online o hai ottenuto certificazioni (anche gratuite)? Menzionale. Dimostrano proattività e curiosità, doti fondamentali in ambito tecnologico.

Meccatronica o ICT: quale specializzazione offre i contratti a tempo indeterminato più veloci al Sud?

La scelta del settore non può prescindere da un’analisi geografica del mercato del lavoro. Al Sud Italia, la dinamica occupazionale per i tecnici specializzati è influenzata da due forze principali: i distretti manifatturieri storici e i nuovi hub tecnologici emergenti, spinti anche dagli investimenti del PNRR. La scelta tra Meccatronica e ICT (Information and Communications Technology) dipende quindi da quale di queste due correnti si intende cavalcare.

La meccatronica rimane un pilastro nei distretti consolidati, come quello dell’automotive a Melfi o quello aerospaziale in Puglia. Qui, le aziende hanno un bisogno costante di “super-tecnici” per la manutenzione e l’ottimizzazione di linee produttive sempre più automatizzate. L’ICT, d’altra parte, sta vivendo una crescita esplosiva nei nuovi poli urbani come Napoli, Bari e Catania, dove la domanda per specialisti in cybersecurity, cloud computing e sviluppo software è in continua espansione.

Analizzando i dati sulla tipologia contrattuale, le differenze tra i due settori sono minime, segno di una forte richiesta per entrambi i profili. La stabilità contrattuale è un obiettivo raggiungibile in tempi rapidi in entrambi i casi, con percentuali di contratti a tempo indeterminato e di apprendistato (che è un percorso verso la stabilizzazione) molto simili.

Stabilità Contrattuale al Sud: Meccatronica vs ICT (Fonte: INDIRE 2024)
Settore Tempo indeterminato Tempo determinato Apprendistato
ICT 34,6% 38,4% 26,9%
Meccatronica 35,2% 36,8% 27,4%

La vera discriminante, quindi, non è tanto la velocità di stabilizzazione, quanto l’ambiente di lavoro desiderato: da un lato la grande fabbrica 4.0, dall’altro la software house o la società di consulenza ICT. Entrambi i percorsi offrono eccellenti prospettive di ROI educativo nel contesto meridionale.

Il pericolo di scegliere un corso iper-tecnico che sarà obsoleto tra 5 anni: come evitarlo?

Il più grande punto di forza degli ITS – la loro specializzazione estrema – è anche il loro tallone d’Achille: il rischio di obsolescenza. Imparare a usare alla perfezione un software o un macchinario specifico ti rende immediatamente appetibile per le aziende che lo utilizzano oggi, ma cosa succederà tra cinque anni quando quella tecnologia sarà superata? Questo è il “debito tecnologico” che potresti contrarre: un’alta occupabilità oggi in cambio di una potenziale irrilevanza domani.

Rappresentazione metaforica dell'evoluzione tecnologica e dei fondamenti duraturi

L’antidoto a questo rischio non è evitare la specializzazione, ma scegliere un corso che, accanto alle competenze pratiche su tecnologie specifiche, costruisca una solida impalcatura di principi teorici fondamentali. Un buon ITS non ti insegna solo *cosa* fare, ma *perché* funziona in quel modo. Ti insegna la fisica dietro il processo meccatronico, i principi di networking dietro la configurazione Cisco, i fondamenti di algoritmica dietro il linguaggio di programmazione. Questi principi sono immuni all’obsolescenza.

Gli ITS ne sono consapevoli, e infatti il 78,2% dei percorsi integra già tecnologie abilitanti 4.0 come AI, IoT e Big Data. Ma la sola presenza di queste parole chiave non basta. La tua missione, da futuro studente strategico, è investigare la struttura del corso per capire se stai acquistando una competenza a breve termine o investendo in una carriera a lungo termine.

Checklist per un ITS a prova di futuro

  1. Analizza il piano di studi: Controlla se, oltre ai laboratori pratici, sono previsti moduli solidi su materie di base (matematica, fisica, statistica, principi di informatica). Questi sono i tuoi anticorpi contro l’obsolescenza.
  2. Verifica le certificazioni incluse: Il corso prepara a certificazioni internazionali riconosciute (es. Cisco per il networking, Siemens per l’automazione, CompTIA per l’IT)? Queste sono un marchio di qualità e trasferibilità delle competenze.
  3. Controlla l’allineamento strategico: Il percorso è esplicitamente collegato ai piani nazionali come Transizione 4.0 o Transizione 5.0? Questo garantisce che le tecnologie insegnate siano considerate strategiche per il paese.
  4. Indaga sulla trasversalità: Cerca moduli su competenze trasversali come Intelligenza Artificiale, sostenibilità ambientale o Internet of Things, anche se il corso è focalizzato su un altro settore. Questo indica una visione a lungo raggio.
  5. Chiedi degli accordi con le aziende: Durante gli open day, domanda quali sono le procedure di aggiornamento dei programmi in base alle evoluzioni tecnologiche delle aziende partner. La risposta ti dirà molto sulla reattività dell’istituto.

Quando integrare una laurea triennale dopo l’ITS per accedere ai concorsi pubblici?

Il diploma ITS è un titolo di V livello del Quadro Europeo delle Qualifiche (EQF), pienamente riconosciuto e apprezzato nel settore privato. Tuttavia, mostra i suoi limiti quando l’obiettivo di carriera si sposta verso la Pubblica Amministrazione, specialmente per le posizioni di funzionario o dirigente. Sebbene il diploma ITS sia sufficiente per partecipare a concorsi per tecnici specializzati, la laurea triennale (e spesso magistrale) resta un requisito imprescindibile per l’accesso alle carriere direttive.

La buona notizia è che il sistema è progettato per essere permeabile. Un percorso ITS non preclude l’università, anzi, può diventare un acceleratore. Le università italiane riconoscono un numero significativo di Crediti Formativi Universitari (CFU) maturati durante il biennio ITS. Accordi quadro specifici, come quelli tra il Politecnico di Torino e diverse ITS Academy, possono portare al riconoscimento di crediti sufficienti a “scontare” quasi un intero anno dal percorso di laurea triennale. Questo rende la strategia “ITS + Laurea” estremamente efficiente in termini di tempo e costi.

L’integrazione con una laurea diventa strategicamente necessaria in due scenari principali: l’accesso ai concorsi pubblici di alto livello e la volontà di intraprendere carriere internazionali o di ricerca e sviluppo, dove il titolo accademico ha ancora un peso formale maggiore. La tabella seguente chiarisce i requisiti tipici.

Requisiti di accesso ai principali concorsi pubblici italiani
Tipo di concorso Titolo richiesto ITS sufficiente
Tecnico specializzato Enti Locali Diploma quinquennale o ITS
Funzionario amministrativo Laurea triennale No
Dirigente tecnico Laurea magistrale No

Pertanto, la domanda non è “ITS o Università?”, ma “In quale ordine?”. Iniziare con un ITS permette di ottenere un’indipendenza economica e un’esperienza lavorativa preziosa, per poi finanziare e arricchire una successiva laurea con una consapevolezza del mondo del lavoro che i colleghi universitari non possono avere.

Perché la cultura del “siamo una grande famiglia” aumenta il rischio di esaurimento nervoso del 40%?

La retorica del “siamo una grande famiglia” è una delle bandiere rosse più pericolose e diffuse nella cultura delle piccole e medie imprese (PMI) italiane. Dietro un’apparenza di calore e informalità, questa frase nasconde spesso l’assenza di confini chiari tra vita privata e lavorativa, aspettative di dedizione totale e una sistematica violazione dei diritti contrattuali. Questo è quello che definisco il “debito culturale”: il prezzo non monetario che si paga per un posto di lavoro in un ambiente apparentemente accogliente.

Metafora visiva dell'equilibrio tra vita personale e professionale

Per un neodiplomato ITS, spesso al primo impiego, questo ambiente può essere particolarmente tossico. La mancanza di esperienza e il desiderio di dimostrare il proprio valore lo rendono vulnerabile a richieste irragionevoli mascherate da “dare una mano” o “spirito di squadra”. Lavorare sistematicamente oltre l’orario, essere reperibili nei weekend e svolgere mansioni non previste dal contratto diventano la normalità, portando a un rapido esaurimento emotivo e fisico. Questo non è un rischio marginale: secondo un’indagine di Confartigianato, il 38,9% degli studenti ITS si orienta verso la piccola e media impresa, entrando direttamente in questo potenziale campo minato culturale.

Riconoscere i segnali premonitori fin dalla fase di colloquio è fondamentale per evitare di cadere in questa trappola. Un datore di lavoro sano promuove un ambiente professionale e rispettoso, non un’affiliazione emotiva. Le “bandiere rosse” da tenere d’occhio includono:

  • Frasi come “qui si fa un po’ di tutto” o “non guardiamo l’orologio”.
  • Richieste di disponibilità extra presentate come favori tra amici.
  • Un’evidente mancanza di procedure strutturate per ferie, permessi e straordinari.
  • Un’enfasi eccessiva sulla lealtà personale verso il titolare piuttosto che sulla lealtà professionale verso l’azienda.

Accettare un lavoro in un contesto simile significa esporsi a un altissimo rischio di burnout, che può compromettere non solo il benessere personale, ma anche l’intera traiettoria di carriera iniziale.

L’errore di dimenticarsi dei dipendenti remoti per le promozioni favorendo chi è sempre in ufficio (proximity bias)

Nell’era del lavoro ibrido, un nuovo e subdolo rischio si è aggiunto all’equazione della carriera: il proximity bias, ovvero la tendenza inconscia dei manager a favorire i dipendenti che vedono fisicamente in ufficio per incarichi di rilievo, feedback informali e promozioni. Chi è “fuori dalla vista” rischia di essere “fuori dalla mente”. Questo fenomeno rappresenta una minaccia concreta per l’equità e la progressione di carriera, specialmente in settori con alta incidenza di lavoro da remoto.

Questa dinamica è particolarmente relevante nella scelta tra settori come l’ICT e la meccatronica. Il settore ICT offre maggiore flessibilità per il lavoro remoto, un benefit molto desiderato, ma che espone maggiormente a questo bias. Al contrario, la meccatronica, che richiede una presenza fisica in fabbrica o laboratorio nel 75% dei casi, rende di fatto immuni a questo specifico problema, pur sacrificando la flessibilità.

Per un giovane professionista, essere vittima del proximity bias può significare vedere i propri contributi svalutati e la propria crescita rallentata, non per mancanza di performance, ma per semplice distanza fisica. Le aziende più mature e strutturate stanno già implementando contromisure. Studi su aziende italiane dimostrano che l’adozione di sistemi di valutazione oggettiva delle performance, basati su risultati e non su percezioni, può ridurre l’impatto del proximity bias fino al 35%.

Come lavoratore remoto, è quindi cruciale adottare una strategia proattiva per rimanere visibile. Questo non significa partecipare a infiniti meeting online, ma documentare e comunicare il proprio lavoro in modo strutturato. Tecniche efficaci includono: la stesura di report settimanali concisi sui progressi e sui risultati ottenuti, l’utilizzo di strumenti di project management per rendere trasparente il proprio carico di lavoro e la programmazione proattiva di incontri 1-to-1 con il proprio manager per discutere di performance e obiettivi di carriera. Diventa essenziale passare da “lavoratore” a “comunicatore del proprio valore”.

Punti chiave da ricordare

  • La scelta tra ITS e Università è una valutazione di rischio: l’ITS offre un ROI immediato ma con rischi di obsolescenza e burnout culturale; l’Università è un investimento a lungo termine con un’entrata nel mercato più lenta.
  • Il successo nella selezione ITS dipende più dalla motivazione e dai progetti personali che dai voti scolastici. La chiave è dimostrare potenziale e passione.
  • La vera minaccia di un percorso iper-tecnico non è la specializzazione in sé, ma la mancanza di solide basi teoriche. Scegli corsi che insegnino i “principi” dietro le tecnologie.

Come riconoscere i segnali del burnout in un contesto aziendale familiare dove “bisogna fare tutto”?

Il burnout non è semplice stanchezza. È una sindrome da stress cronico lavorativo caratterizzata da tre dimensioni principali: esaurimento emotivo, cinismo crescente verso il proprio lavoro e una sensazione di inefficacia personale. In un contesto di PMI “familiare”, dove i confini sono labili e le richieste implicite continue, riconoscere questi segnali precocemente è un atto di autodifesa cruciale.

Il primo sintomo è l’esaurimento. Non ti senti solo stanco a fine giornata, ti senti svuotato, privo di energie emotive per affrontare un’altra giornata. Il secondo è il distacco. Inizi a sviluppare un atteggiamento cinico e distaccato verso il lavoro, i colleghi e i clienti. Quello che prima ti appassionava ora ti irrita o ti lascia indifferente. Infine, arriva il senso di inefficacia: nonostante tu lavori sempre di più, senti di non combinare nulla di buono, perdendo fiducia nelle tue capacità.

In Italia, il quadro normativo offre delle tutele. Se ti viene chiesto sistematicamente di svolgere mansioni inferiori (“tappare i buchi”) o totalmente diverse da quelle per cui sei stato assunto, potrebbe configurarsi un demansionamento illegittimo. Documentare queste richieste è il primo passo per proteggersi. Il “Kit di primo soccorso” contro il burnout all’italiana prevede azioni concrete:

  • Contattare il Medico Competente Aziendale: È una figura obbligatoria per legge in molte aziende, il cui ruolo è tutelare la salute psico-fisica dei lavoratori.
  • Rivolgersi a un Patronato: Offrono consulenza legale gratuita sui diritti del lavoratore, aiutandoti a capire se le tue condizioni contrattuali sono rispettate.
  • Utilizzare gli Sportelli di Ascolto Psicologico: Molte ASL territoriali offrono servizi di supporto psicologico a costi calmierati o gratuiti.
  • Documentare tutto per iscritto: Conserva email, messaggi e prendi nota delle richieste verbali che esulano dal tuo contratto.
  • Richiedere formalmente una job description: Chiedere via email una definizione chiara e scritta delle proprie mansioni può essere un deterrente efficace contro le richieste “extra”.

Riconoscere di essere in una situazione di burnout non è un segno di debolezza, ma il primo, fondamentale passo per riprendere il controllo della propria salute e della propria carriera.

Domande frequenti sulla scelta tra ITS e Università

Sto svolgendo mansioni fuori dal mio contratto da più di 3 mesi?

Se sì, potrebbe configurarsi un demansionamento illegittimo secondo l’art. 2103 del Codice Civile italiano.

Mi sento emotivamente esaurito alla fine di ogni giornata lavorativa?

L’esaurimento emotivo costante è il primo segnale del burnout, diverso dalla stanchezza normale.

Ho sviluppato cinismo verso il mio lavoro negli ultimi mesi?

Il distacco emotivo e il cinismo sono sintomi chiave della sindrome da burnout professionale.

Scritto da Giulia Romano, HR Manager e Career Coach certificata, focalizzata sull'inserimento lavorativo dei giovani e sul welfare aziendale. Esperta in orientamento ITS, dinamiche di co-living e smart working.