
Forzare un ragazzo a tornare sui banchi non risolverà la sua crisi. La vera soluzione è costruire con lui un futuro alternativo così desiderabile da rendere lo studio (o il lavoro) un passo logico e non un’imposizione.
- Gli Istituti Tecnici Superiori (ITS) offrono tassi di occupazione e stipendi iniziali spesso superiori a molti percorsi universitari.
- Un anno di esperienza pratica, come il Servizio Civile Universale, può sbloccare la maturità e la visione del futuro più di mille rimproveri.
Raccomandazione: Invece di punire il disinteresse, analizza i segnali d’allarme e proponi percorsi pratici che diano un valore e un senso immediato al suo impegno.
“Mio figlio non vuole più andare a scuola. Passa le giornate chiuso in camera. Non fa assolutamente niente”. Come psicologo scolastico, sento questa frase quasi ogni giorno. È il lamento di genitori spaventati, frustrati e che si sentono impotenti di fronte a un adolescente che sembra aver staccato la spina dal mondo e dal proprio futuro. La prima reazione, del tutto comprensibile, è cercare di forzare una soluzione: togliere il telefono, imporre lo studio, fare la morale sui sacrifici. Ma queste strategie, il più delle volte, alzano solo muri più alti.
La verità è che un adolescente che si ritira non è quasi mai un ragazzo pigro. È un ragazzo che ha perso la capacità di proiettarsi nel futuro. Il problema non è la mancanza di volontà, ma una profonda disconnessione progettuale: non riesce più a vedere un percorso per sé, un obiettivo per cui valga la pena faticare. Il suo rifiuto della scuola non è il problema, ma il sintomo più evidente di questa crisi. Di fronte a questo, l’approccio non può essere quello di “riparare” il presente forzandolo a tornare sui suoi passi.
La strategia vincente, che esploreremo in questa guida, è completamente diversa. Si tratta di smettere di guardare al passato e iniziare a costruire un ponte verso un futuro tangibile. Un futuro dove percorsi alternativi, pratici e moderni come gli Istituti Tecnici Superiori (ITS) o un anno di volontariato non sono visti come un ripiego per chi “non ce la fa”, ma come la prima, vera scelta consapevole verso l’indipendenza e la realizzazione personale. L’obiettivo è dargli una ragione concreta per cui valga la pena alzarsi la mattina.
In questo articolo, analizzeremo insieme i segnali d’allarme che non vanno ignorati, smonteremo le strategie genitoriali che si rivelano controproducenti e, soprattutto, scopriremo le alternative concrete che il sistema formativo e sociale italiano offre per riagganciare un ragazzo in crisi e trasformare il suo blocco in un nuovo inizio.
Sommario: Guida pratica per genitori di fronte al rischio NEET
- Perché le assenze strategiche del lunedì sono il primo campanello d’allarme che non devi ignorare?
- Come valutare la formazione professionale regionale se il liceo non è la strada giusta per tuo figlio?
- Togliere il telefono o ascoltare: quale strategia riaggancia davvero un ragazzo che si sta isolando?
- L’errore di permettere il ritiro sociale (Hikikomori) pensando che stia “studiando in camera”
- Quando un anno di volontariato o lavoro può salvare il futuro di un ragazzo bloccato?
- Perché il 90% dei diplomati ITS trova lavoro subito mentre molti laureati faticano?
- Pagare per i voti scolastici o no: quando il denaro diventa un incentivo diseducativo?
- ITS o Università: quale percorso garantisce uno stipendio sopra i 1.500€ entro 6 mesi dal diploma?
Perché le assenze strategiche del lunedì sono il primo campanello d’allarme che non devi ignorare?
L’abbandono scolastico non è un evento improvviso, ma un processo graduale. Inizia spesso con segnali sottili, che tendiamo a minimizzare: “È solo stanco”, “Questa settimana ha avuto un’influenza”. Tra tutti i segnali, le assenze del lunedì sono le più insidiose. Il lunedì non è un giorno come gli altri; rappresenta la ripartenza, il confronto con una settimana di doveri, interrogazioni e relazioni sociali che l’adolescente non si sente più in grado di affrontare. Un’assenza sistematica in questo giorno è un tentativo di procrastinare l’ansia e il senso di inadeguatezza.
Questi comportamenti sono la punta di un iceberg molto più grande. In Italia, il fenomeno della dispersione scolastica è allarmante. Secondo i dati ISTAT del 2023, il tasso di abbandono precoce dell’istruzione e della formazione riguarda il 10,5% dei giovani tra i 18 e i 24 anni. Questo significa che più di un ragazzo su dieci si ferma prima di aver acquisito le competenze minime per entrare nel mondo del lavoro, con un rischio altissimo di diventare un NEET (Not in Education, Employment, or Training).
Ignorare queste “assenze strategiche” significa permettere al problema di cronicizzarsi. È fondamentale agire subito, non con un approccio punitivo, ma investigativo. Inizia a monitorare con oggettività la situazione. Utilizza il registro elettronico per identificare schemi ricorrenti: le assenze si concentrano sempre prima di una verifica di matematica? Coincidono con le ore di educazione fisica? Le giustificazioni sono vaghe o ripetitive? Raccogliere questi dati non serve a “incastrare” tuo figlio, ma a preparare un dialogo basato su fatti concreti, non su accuse. Potrai così approcciare la conversazione dicendo: “Ho notato che ultimamente il lunedì mattina fai fatica ad andare a scuola. C’è qualcosa che ti preoccupa in particolare quel giorno?”.
Questa osservazione attenta è il primo passo per passare da un atteggiamento reattivo a uno proattivo, trasformando un campanello d’allarme in un’opportunità per capire cosa si nasconde davvero dietro quel banco vuoto. Comprendere la radice del disagio è l’unica via per poter poi esplorare soluzioni che non siano solo un cerotto, ma un vero cambiamento di rotta.
Come valutare la formazione professionale regionale se il liceo non è la strada giusta per tuo figlio?
Se la scuola superiore tradizionale, con il suo approccio prevalentemente teorico, è diventata una fonte di ansia e fallimento per tuo figlio, insistere su quella strada è come cercare di inserire un pezzo di un puzzle nel posto sbagliato. È il momento di considerare con serietà i “percorsi di valore” alternativi, in particolare gli Istituti Tecnici Superiori (ITS). Dimentica il vecchio preconcetto della “scuola di serie B”: oggi gli ITS rappresentano una delle vie più dirette e qualificate per entrare nel mondo del lavoro.
Questi percorsi post-diploma, della durata di due anni, sono progettati in stretta collaborazione con le aziende del territorio per rispondere a un bisogno reale del mercato. Invece di studiare concetti astratti, i ragazzi imparano facendo, con docenti che provengono dal mondo del lavoro e con una parte significativa del corso (almeno il 30%) svolta in tirocinio direttamente in azienda. Questo approccio pratico cambia tutto nella mente di un adolescente demotivato: lo studio acquista finalmente un senso, uno scopo visibile e concreto.

I risultati parlano da soli. Il monitoraggio nazionale INDIRE 2024 rivela che a un anno dal diploma, l’ 87% dei diplomati ITS ha trovato un’occupazione, e per il 91% di loro si tratta di un lavoro coerente con il percorso di studi. Questi non sono solo numeri, sono la prova che esiste un’alternativa efficace all’università, spesso più rapida e mirata.
Studio di caso: La sinergia tra ITS e distretti industriali italiani
L’efficacia degli ITS è evidente nella loro connessione con le eccellenze produttive italiane. L’ITS Maker in Emilia-Romagna, ad esempio, forma tecnici specializzati in meccatronica che vengono assunti da colossi come Ferrari e Ducati. In Toscana, gli ITS del settore moda preparano figure professionali che si inseriscono direttamente nel prestigioso distretto tessile di Prato. Questo legame garantisce che la formazione sia sempre aggiornata e che le competenze acquisite siano esattamente quelle richieste dalle aziende, trasformando i diplomati in professionisti pronti per il mercato, non in neodiplomati in cerca di una prima esperienza.
Per un genitore, valutare questa opzione significa aprire una porta su un futuro possibile e desiderabile per il proprio figlio. Un futuro dove può mettere a frutto le sue inclinazioni pratiche, sentirsi competente e raggiungere l’indipendenza economica in tempi brevi. È un cambio di prospettiva fondamentale: non più “cosa farai da grande?”, ma “cosa ti piacerebbe imparare a fare, adesso?”.
Togliere il telefono o ascoltare: quale strategia riaggancia davvero un ragazzo che si sta isolando?
Di fronte a un figlio che passa ore chiuso in camera, con gli occhi fissi sullo schermo, l’istinto primario di ogni genitore è sequestrare l’oggetto del contendere: il telefono. Sembra la soluzione più logica per rompere l’isolamento e costringerlo a “tornare nel mondo reale”. Eppure, questa mossa si rivela quasi sempre controproducente. Per un adolescente che si sta ritirando, lo smartphone non è solo una fonte di distrazione; è spesso l’ultimo, fragile ponte che lo collega al mondo sociale, un rifugio dove l’ansia da prestazione è più gestibile.
Toglierglielo equivale a tagliare quell’ultimo filo, aumentando il suo senso di isolamento e innescando un conflitto che rende impossibile qualsiasi dialogo costruttivo. Il ritiro sociale tra i giovani è un fenomeno in crescita preoccupante. Come sottolinea un recente studio del Consiglio Nazionale delle Ricerche:
Il 10% degli adolescenti italiani si troverebbe in una condizione di estremo ritiro sociale, sovrapponibile a quella degli hikikomori. Un numero che è raddoppiato rispetto al 5% rilevato nel 2019.
– Consiglio Nazionale delle Ricerche, Studio CNR pubblicato su Nature
Invece di confiscare, la strategia più efficace è l’ascolto attivo. Significa sedersi accanto a lui non per giudicare, ma per capire. “Cosa ti piace di questo gioco?”, “Chi segui su questo canale?”, “Cosa ti appassiona di questo mondo?”. L’obiettivo è entrare nel suo universo digitale per scoprire se, nascoste dietro lo schermo, ci sono passioni e competenze che potrebbero essere valorizzate. Un ragazzo che passa ore a giocare a un videogioco strategico potrebbe star sviluppando, senza saperlo, capacità di problem solving e pensiero tattico. Chi gestisce una community su Discord sta imparando le basi del social media management.
Studio di caso: Trasformare le passioni digitali in una carriera
Molti giovani appassionati di gaming hanno trovato la loro strada proprio grazie agli ITS. I percorsi in ICT e Game Design, ad esempio, registrano un tasso di occupazione del 68,8% tra i diplomati. Questi corsi permettono di trasformare competenze digitali, apparentemente “inutili”, in qualifiche professionali molto richieste. L’adolescente scopre che la sua passione per il video editing, la gestione di community online o la strategia di gioco può diventare un vero lavoro. È un esempio lampante di come, ascoltando e orientando invece di punire, si possa costruire un ponte tra il mondo virtuale in cui si rifugia e un futuro professionale concreto.
Questa strategia sposta il focus dal “togliere” al “trasformare”. Non si combatte più il mondo digitale, ma lo si usa come leva per riaccendere l’interesse e mostrare a tuo figlio che le sue passioni, anche quelle che ti sembrano incomprensibili, possono avere un valore e un posto nel mondo reale.
L’errore di permettere il ritiro sociale (Hikikomori) pensando che stia “studiando in camera”
Esiste una linea sottile e pericolosa tra il rispettare il bisogno di privacy di un adolescente e il tollerare involontariamente l’inizio di un ritiro sociale grave. La frase “Lo lascio tranquillo, almeno sta in camera a studiare” può diventare un alibi per non vedere una realtà più scomoda: la sua stanza si sta trasformando da rifugio a prigione. Il fenomeno degli Hikikomori, termine giapponese per indicare chi sceglie l’isolamento sociale totale, non è più un problema lontano. In Italia, si stima che il fenomeno riguardi una quota significativa di giovani, con numeri che le istituzioni stanno iniziando a monitorare con preoccupazione.
Le stime dell’ISS e del CNR per il 2024 suggeriscono che in Italia potrebbero esserci tra i 50.000 e i 100.000 giovani in condizioni di ritiro sociale, prevalentemente nella popolazione studentesca. Si tratta di ragazzi che non solo abbandonano la scuola, ma interrompono ogni contatto con il mondo esterno, amici inclusi, rifugiandosi interamente nella loro camera. Confondere questo isolamento con una fase di “studio intenso” o di “pigrizia” è l’errore più grande che un genitore possa fare.

Riconoscere i segnali è fondamentale. Non si tratta solo di assenze scolastiche. Il ritiro sociale si manifesta con un cambiamento delle abitudini (inversione sonno-veglia), l’abbandono di hobby e amicizie, una comunicazione ridotta al minimo indispensabile e un’apatia generale verso qualsiasi stimolo esterno. Permettere che questa situazione si protragga nella speranza che “passi da sola” è rischioso. Più a lungo dura l’isolamento, più difficile sarà uscirne. È essenziale intervenire precocemente, con delicatezza ma con decisione, attivando la rete di supporto disponibile.
Piano d’azione: come valutare un rischio di ritiro sociale
- Punti di contatto: Annota la frequenza dei contatti esterni. Chiama ancora gli amici? Esce mai, anche solo per commissioni? Le assenze scolastiche sono totali o parziali?
- Raccolta dati: Inventaria i cambiamenti nel comportamento quotidiano. Orari dei pasti, igiene personale, inversione del ritmo sonno-veglia, abbandono di hobby che prima amava.
- Coerenza: Confronta le sue giustificazioni con la realtà osservata. Le sue scuse per non uscire sono plausibili o diventano sempre più generiche e ripetitive?
- Mémorabilità/emozione: Osserva le sue reazioni emotive. Appare apatico e indifferente a tutto (gioia, rabbia, tristezza) o è costantemente irritabile e ansioso quando si parla di uscire?
- Piano d’integrazione: Se i punti precedenti destano preoccupazione, contatta il medico di base per un primo parere e valuta un consulto presso il Consultorio Familiare dell’ASL o lo sportello psicologico della scuola.
Affrontare il sospetto di un ritiro sociale non è un’accusa, ma un atto di amore e di cura. Significa riconoscere che tuo figlio sta soffrendo profondamente e ha bisogno di un aiuto specializzato per ritrovare la strada verso il mondo.
Quando un anno di volontariato o lavoro può salvare il futuro di un ragazzo bloccato?
Per un adolescente bloccato nella palude dell’apatia, l’idea di un percorso scolastico di altri cinque anni può sembrare una montagna insormontabile. A volte, la soluzione più efficace non è spingerlo a scalare, ma proporgli un sentiero diverso: un “anno ponte”. Un periodo di pausa strutturata dallo studio, dedicato a un’esperienza pratica come il volontariato o un piccolo lavoro, può fare miracoli per sbloccare la sua maturità e la sua visione del futuro.
L’errore comune è vedere questo anno come “tempo perso”. In realtà, è un investimento strategico sul suo sviluppo personale. Un’esperienza come il Servizio Civile Universale è l’esempio perfetto. Non si tratta di un lavoretto improvvisato, ma di un programma nazionale strutturato, che offre ai giovani un impegno definito (circa 25 ore settimanali), un piccolo compenso mensile (attualmente 507,30 €) e, soprattutto, un ruolo di responsabilità all’interno di un’organizzazione.
Il Servizio Civile permette a un ragazzo di uscire dalla sua bolla, confrontarsi con realtà diverse (assistenza agli anziani, protezione dell’ambiente, cultura), acquisire competenze pratiche (lavoro di squadra, gestione del tempo, problem solving) e, cosa più importante, sentirsi utile. Questa sensazione di essere un contributo positivo per gli altri è un potentissimo riattivatore di autostima e motivazione. Le opportunità sono concrete e numerose: il bando ordinario 2024 del Dipartimento per le Politiche Giovanili ha messo a disposizione ben 62.549 posti per giovani volontari in tutta Italia.
Un anno di questo tipo può avere diversi effetti trasformativi:
- Sviluppa la maturità: Gestire un impegno, rispettare orari e responsabilità lo costringe a uscire dalla mentalità adolescenziale.
- Chiarisce gli interessi: Venendo a contatto con un settore specifico (es. sociale, culturale, ambientale), può scoprire una passione o, al contrario, capire cosa non vuole fare, un’informazione altrettanto preziosa.
- Ridà valore allo studio: Dopo un anno di lavoro, molti giovani tornano sui banchi con una consapevolezza diversa, capendo che la formazione è uno strumento per progredire in un campo che ora li interessa davvero.
- Fornisce indipendenza: Anche un piccolo stipendio è un passo enorme verso l’autonomia e riduce il senso di dipendenza frustrante dalla famiglia.
Proporre un “anno ponte” non significa arrendersi, ma offrire una deviazione strategica che può rimettere tuo figlio in carreggiata con una marcia in più: la consapevolezza di sé e del proprio valore nel mondo.
Perché il 90% dei diplomati ITS trova lavoro subito mentre molti laureati faticano?
Il dibattito tra formazione tecnica e accademica è spesso viziato da un pregiudizio culturale che vede l’università come l’unica via per una carriera di successo. I dati, tuttavia, raccontano una storia molto diversa, soprattutto in un mercato del lavoro che richiede competenze sempre più specifiche e pratiche. La sorprendente efficacia degli Istituti Tecnici Superiori (ITS) risiede proprio nel loro modello formativo, radicalmente diverso da quello universitario e perfettamente allineato con le esigenze delle aziende.
La ragione principale del loro successo si può riassumere in una parola: aderenza. Gli ITS non formano “teorici”, ma “pratici specializzati”. Il loro segreto sta in due pilastri fondamentali, come evidenziato dal monitoraggio nazionale di INDIRE. In primo luogo, l’esperienza sul campo non è un optional, ma il cuore del percorso.
Almeno il 30% della durata del corso è un tirocinio obbligatorio in azienda e almeno il 50% dei docenti proviene dal mondo del lavoro.
– INDIRE, Monitoraggio Nazionale ITS 2024
Questo significa che per quasi un terzo del loro tempo, gli studenti sono immersi nella realtà aziendale, imparando procedure, utilizzando macchinari e costruendo una rete di contatti professionali prima ancora di diplomarsi. I docenti, essendo professionisti del settore, portano in aula casi reali e competenze aggiornate, non nozioni accademiche datate. Il risultato è un “ponte” diretto e senza interruzioni tra il mondo della formazione e quello del lavoro.
Un’analisi comparativa dei tassi di occupazione rende questa differenza ancora più evidente. I dati ISTAT mostrano un quadro inequivocabile sul ritorno occupazionale dei diversi percorsi formativi in Italia.
| Indicatore | Diplomati ITS | Laureati (I livello) |
|---|---|---|
| Tasso occupazione a 12 mesi | 87% | 75,4% |
| Coerenza con percorso studi | 93,8% | Dato non disponibile |
| Età media primo impiego | 20-21 anni | 25-26 anni |
| Stage obbligatorio in azienda | Min. 30% del corso | Variabile/Opzionale |
Questi numeri, estratti da una recente analisi ISTAT sui ritorni occupazionali, dimostrano che il percorso ITS non solo garantisce un ingresso nel mondo del lavoro più rapido, ma anche più coerente. Per un adolescente demotivato dalla teoria, vedere un collegamento così diretto tra studio e impiego può essere il fattore decisivo per riaccendere la motivazione.
Pagare per i voti scolastici o no: quando il denaro diventa un incentivo diseducativo?
Quando la motivazione scarseggia, la tentazione di usare un incentivo economico è forte: “Se prendi 8 in matematica, ti do 50 euro”. A prima vista, sembra una logica transazione win-win. Tu ottieni il risultato desiderato, lui ottiene una ricompensa. Tuttavia, come psicologo, devo mettere in guardia sui rischi a lungo termine di questo approccio. Pagare per i voti può trasformare lo studio da un’attività di crescita personale a una mera transazione economica, minando alla base la motivazione intrinseca, ovvero il piacere di imparare per il gusto di farlo.
Il rischio principale è che il ragazzo inizi ad associare l’impegno non al valore della conoscenza o alla soddisfazione personale, ma esclusivamente al premio monetario. Cosa succederà quando l’offerta non sarà più abbastanza allettante? O quando dovrà affrontare sfide per cui nessuno gli offrirà una ricompensa? Come sottolinea la Fondazione Asilo Mariuccia in uno studio sulla motivazione adolescenziale, ” il valore dello studio è spesso legato al dovere e alla crescita personale più che a una transazione economica“. Legare la performance scolastica al denaro insegna una lezione sbagliata: che l’impegno si “compra”.
Questo non significa che ogni forma di ricompensa sia negativa, ma che deve essere ripensata. Invece di una transazione diretta, è più educativo creare un sistema basato sulla responsabilità e sulle esperienze. L’obiettivo è spostare il focus dal risultato (il voto) al processo (l’impegno) e associare i privilegi non alla performance accademica, ma alla maturità dimostrata nella gestione dei propri doveri quotidiani.
Ecco alcune alternative molto più costruttive al pagamento per i voti:
- Creare un sistema di privilegi basato sulla responsabilità: Invece di legare i premi ai voti, collegali al rispetto degli impegni presi (es. orari, compiti domestici, gestione del tempo per lo studio).
- Offrire esperienze, non denaro: La ricompensa per un periodo di impegno può essere un’esperienza condivisa o desiderata: un concerto, un viaggio, un evento sportivo. Questo crea ricordi e rafforza il legame.
- Stabilire una paghetta fissa: Una paghetta settimanale o mensile, svincolata dai voti, insegna a gestire il denaro. Può essere legata a doveri familiari di base, ma non alla performance scolastica.
- Riconoscere l’impegno e il miglioramento: Invece di premiare l’8, premia lo sforzo fatto per passare da 4 a 5. Valorizza la perseveranza, non solo il successo.
- Coinvolgere il ragazzo nella scelta: Chiedergli quale tipo di ricompensa non monetaria lo motiverebbe lo rende parte attiva del processo e aumenta il suo coinvolgimento.
Adottare queste strategie aiuta a costruire un’etica del lavoro basata su valori interni e non su incentivi esterni, una competenza fondamentale per tutta la sua vita adulta.
Da ricordare
- Il ritiro sociale non è pigrizia, ma un sintomo di “disconnessione progettuale” che richiede ascolto e non punizione.
- Gli ITS non sono un ripiego, ma un percorso d’eccellenza con tassi di occupazione e coerenza lavorativa spesso superiori alla media universitaria.
- Un’esperienza pratica (Servizio Civile, lavoro) può riattivare la motivazione e la maturità molto più efficacemente di un’imposizione a studiare.
ITS o Università: quale percorso garantisce uno stipendio sopra i 1.500€ entro 6 mesi dal diploma?
La domanda sullo stipendio è diretta e legittima. Per un genitore preoccupato per l’indipendenza economica del proprio figlio, e per un ragazzo che cerca una motivazione concreta, il ritorno economico è un fattore cruciale. Il titolo pone una soglia ambiziosa: 1.500€ entro 6 mesi. È un obiettivo realistico? La risposta è: dipende dal percorso e dal settore, ma gli ITS offrono spesso una traiettoria più rapida per raggiungere una buona stabilità economica.
Mentre molti percorsi universitari richiedono 3-5 anni di studio seguiti da tirocini spesso poco retribuiti, un diplomato ITS entra nel mercato del lavoro a 20-21 anni con competenze specialistiche già richieste. Sebbene uno stipendio di 1.500€ netti nei primi 6 mesi non sia la norma per tutti, è un traguardo raggiungibile in settori ad alta richiesta come la meccatronica, l’informatica (sviluppo software, cybersecurity) e l’automazione industriale, dove le aziende sono disposte a investire su neodiplomati già formati. La media nazionale va comunque contestualizzata: secondo i dati AlmaDiploma 2023, lo stipendio medio a tre anni dal diploma ITS è di circa 1.297€ netti mensili, una cifra solida per un giovane sotto i 25 anni, con ampie prospettive di crescita.
Tuttavia, il vero vantaggio del sistema ITS non è solo la rapidità di inserimento, ma anche la sua flessibilità. Scegliere un ITS non significa chiudere per sempre la porta dell’università. Anzi, può essere una strategia intelligente per costruire un percorso formativo e professionale su misura, unendo pratica e teoria.
Studio di caso: La permeabilità tra ITS e Università, un percorso flessibile
Il sistema formativo italiano permette una notevole flessibilità. I diplomati ITS ottengono crediti formativi universitari (CFU) che possono essere riconosciuti in caso di iscrizione a un corso di laurea affine. Secondo le statistiche, l’11,9% dei diplomati ITS prosegue gli studi all’università, spesso mentre già lavora. Questo modello “ibrido” è estremamente potente: un ragazzo può prima ottenere un diploma ITS, trovare un lavoro stabile e raggiungere l’indipendenza economica, e poi decidere di approfondire la sua formazione con una laurea, forte di un’esperienza pratica che darà un valore aggiunto enorme ai suoi studi accademici. Non è più una scelta “o/o”, ma un percorso “e/e”.
In definitiva, mentre l’università rimane una strada valida per molte professioni, per un giovane che ha bisogno di motivazioni concrete e di un “futuro tangibile”, l’ITS rappresenta spesso la garanzia più solida di un’occupazione qualificata e di uno stipendio dignitoso in tempi brevi. È un investimento con un ritorno rapido e misurabile.
L’obiettivo non è trovare una soluzione magica, ma aprire un ventaglio di possibilità reali e desiderabili. Discutere di queste alternative con tuo figlio, visitando insieme gli open day degli ITS o esplorando i progetti di Servizio Civile, può essere il primo passo per trasformare la sua apatia in un nuovo, entusiasmante progetto di vita. Se il dialogo rimane difficile, non esitare a cercare il supporto di un professionista dell’orientamento o di uno psicologo.
Domande frequenti sul Servizio Civile Universale
Chi può partecipare al Servizio Civile Universale?
Possono partecipare tutti i giovani di età compresa tra i 18 e i 28 anni in possesso di cittadinanza italiana, cittadinanza di uno degli altri Stati membri dell’Unione Europea, oppure cittadini di un Paese extra Unione Europea regolarmente soggiornanti in Italia.
Quanto dura il servizio e qual è il compenso?
La durata del servizio varia da 8 a 12 mesi, con un impegno di circa 25 ore settimanali. È previsto un assegno mensile per i volontari di 507,30 euro, che contribuisce a dare un primo senso di indipendenza economica.
In quali settori si può svolgere il servizio?
I settori di intervento sono molto ampi e permettono di esplorare diversi ambiti: assistenza (anziani, disabili, minori), protezione civile, patrimonio ambientale e riqualificazione urbana, patrimonio artistico e culturale, educazione e promozione culturale, sport, agricoltura sociale e promozione della pace e dei diritti umani.