Pubblicato il Maggio 15, 2024

Contrariamente a quanto si pensa, l’alto turnover della Gen Z non è un problema di lealtà, ma di incompatibilità con i “sistemi operativi” delle aziende tradizionali.

  • I giovani talenti non cercano solo uno stipendio, ma un’organizzazione con valori chiari e un impatto misurabile.
  • La crescita rapida e la flessibilità non sono capricci, ma aspettative operative basate su agilità e autonomia.

Raccomandazione: Smettere di tentare di “correggere” i giovani e iniziare ad “aggiornare” i processi interni per trasformare le loro esigenze in un vantaggio competitivo.

“Un altro che se ne va dopo sei mesi… non hanno più voglia di lavorare come una volta”. Se sei un imprenditore o un manager in Italia, questa frase ti suonerà familiare. L’impressione è che i talenti della Generazione Z, i nati tra la fine degli anni ’90 e il 2010, siano inafferrabili: entrano in azienda pieni di potenziale e la lasciano con una rapidità che lascia spiazzati, spesso vanificando investimenti in formazione e onboarding. Le spiegazioni più comuni tendono a colpevolizzarli: “sono impazienti”, “cercano solo lo smart working”, “non hanno spirito di sacrificio”. Queste etichette, però, non colgono il cuore del problema e, soprattutto, non offrono soluzioni pratiche.

Il punto non è giudicare una generazione, ma comprendere la logica che guida le sue scelte professionali. E se la vera causa del “great resignation” giovanile non fosse un difetto generazionale, ma un’incompatibilità tecnologica? Se il problema fosse che la tua azienda, solida e strutturata, sta funzionando con un “sistema operativo” basato su gerarchia, controllo e cicli annuali, mentre la Gen Z è nativa di un “sistema operativo” basato su reti, feedback istantaneo e crescita per progetti? Questo non è un problema di valori, ma di processi. Non si tratta di cedere a dei capricci, ma di cogliere un’opportunità strategica per modernizzare la propria organizzazione.

Questo articolo non ti darà una lista di benefit superficiali da offrire, ma ti fornirà una chiave di lettura e delle strategie concrete per “aggiornare il sistema operativo” della tua azienda. Analizzeremo perché i vecchi paradigmi non funzionano più, come implementare nuovi processi di comunicazione e crescita, e come trasformare quello che oggi appare come un problema di retention in un potente vantaggio competitivo per attrarre i migliori talenti sul mercato italiano.

Per navigare questa trasformazione, abbiamo strutturato l’articolo in diverse sezioni chiave. Ognuna affronta una delle sfide più comuni che i manager incontrano con la Gen Z, offrendo non solo un’analisi del problema, ma anche soluzioni pratiche e strategie immediatamente applicabili.

Perché lo stipendio fisso non basta più a trattenere un giovane talento se l’azienda non ha valori chiari?

Il primo grande cambio di paradigma da comprendere è che per la Generazione Z lo stipendio è una condizione necessaria, ma non più sufficiente. Lo considerano un “requisito di igiene”: se è troppo basso, l’azienda viene scartata a priori, ma una volta raggiunta una soglia di adeguatezza, altri fattori diventano determinanti. Questi giovani non separano più nettamente l’identità personale da quella professionale. Vogliono lavorare per organizzazioni i cui valori rispecchiano i propri, soprattutto in termini di impatto sociale e ambientale. Un’azienda senza una posizione chiara su temi come la sostenibilità, l’inclusione e l’etica appare semplicemente “obsoleta”.

Non si tratta di un vezzo idealistico, ma di una scelta pragmatica. Ricerche recenti mostrano che oltre il 50% della Gen Z italiana cerca attivamente datori di lavoro impegnati in pratiche di sostenibilità e inclusività. Ignorare questa esigenza significa tagliare fuori una fetta enorme del bacino di talenti. L’autenticità è cruciale: il “greenwashing” o le dichiarazioni di facciata vengono smascherate rapidamente da una generazione abituata a verificare le informazioni online. I valori devono essere integrati nei processi aziendali e dimostrati con azioni concrete, non solo enunciati sul sito web.

La prova del nove è nell’ambiente di lavoro. L’analisi di Great Place to Work Italia sui Best Workplaces for Gen Z 2025 mostra come le aziende più attrattive raggiungano un Trust Index medio del 91%, ben 45 punti sopra la media nazionale. Questo risultato non deriva da benefit stravaganti, ma da fondamenta solide: accoglienza percepita dal 98% dei giovani, supporto attivo dei responsabili (97%) e, soprattutto, un ambiente dove il 99% dei dipendenti sente che non ci sono favoritismi. È la coerenza tra valori dichiarati e vissuto quotidiano a creare la fiducia che trattiene un talento, molto più di un piccolo aumento di stipendio.

Come strutturare colloqui di feedback frequenti invece della sola valutazione annuale che i giovani odiano?

Se la valutazione annuale fosse un software, per la Gen Z sarebbe Windows 95: lento, obsoleto e incapace di gestire le loro necessità operative. Cresciuti nell’era digitale, sono abituati a cicli di feedback istantanei: un “like” su Instagram, una recensione su un prodotto, un commento su TikTok. Aspettare 12 mesi per sapere se stanno facendo un buon lavoro è per loro un controsenso logico e operativo. La valutazione annuale, spesso percepita come un giudizio top-down e burocratico, genera ansia e frustrazione, non crescita.

Il passaggio cruciale è dal concetto di “valutazione” a quello di “conversazione”. I giovani talenti non cercano un voto, ma un dialogo continuo che li aiuti a migliorare in tempo reale. Vogliono un manager che agisca più come un coach che come un supervisore, qualcuno che rimuova gli ostacoli e fornisca indicazioni chiare per il passo successivo. Questo non significa passare ore in riunioni, ma integrare il feedback nella routine lavorativa. Brevi check-in settimanali, strumenti digitali per commenti veloci sui progetti e conversazioni informali possono essere molto più efficaci di un singolo, lungo incontro formale.

Questo approccio ha un impatto diretto e misurabile sulla performance e sulla percezione della leadership. Non a caso, il rapporto 2025 di Great Place to Work evidenzia un dato impressionante: nelle 20 aziende preferite dalla Gen Z si registra un Leadership Index del 93%, contro il 45% della media italiana. Questa differenza abissale dimostra che una leadership presente, supportiva e capace di dialogare costantemente è il vero motore della fiducia e della produttività. Implementare un sistema di feedback continuo non è una perdita di tempo, ma un investimento ad altissimo ROI sulla retention dei talenti.

Il tuo piano d’azione per un feedback efficace

  1. Feedback settimanali: Implementa incontri di 15 minuti focalizzati su benessere e rimozione di ostacoli, non solo sulla performance.
  2. Piattaforme digitali: Utilizza strumenti per feedback istantaneo e trasparente su compiti specifici.
  3. Sviluppo trimestrale: Organizza sessioni focalizzate sulla crescita di competenze, basate su aspirazioni future e non su voti passati.
  4. Modello START/STOP/CONTINUE: Adotta questo framework per conversazioni strutturate ma non intimidatorie (Cosa iniziare a fare? Cosa smettere? Cosa continuare a fare?).
  5. Formazione manageriale: Forma i tuoi manager per passare da un approccio di controllo gerarchico a uno di coaching e supporto.

Fedeltà aziendale o crescita rapida: come gestire il fatto che un Gen Z resterà in media solo 2 anni?

L’idea del “posto fisso” e della carriera a vita nella stessa azienda è un concetto quasi archeologico per la Generazione Z. La loro prospettiva non è basata sulla fedeltà a un’organizzazione, ma sulla fedeltà al proprio percorso di crescita. Vedono ogni esperienza lavorativa come un “gig”, una missione a tempo determinato per acquisire nuove competenze e aumentare il proprio valore sul mercato. Rimanere fermi nello stesso ruolo per più di due o tre anni senza una chiara evoluzione è percepito come una stagnazione, un rischio per la propria occupabilità futura.

I dati confermano questa tendenza in modo netto. Le analisi di LinkedIn rivelano che i lavoratori della Gen Z cambiano lavoro a un tasso del 134% superiore rispetto al 2019, un’accelerazione drastica se confrontata con il +24% dei Millennial o il +4% dei Boomer. Combattere questa mentalità è una battaglia persa. La strategia vincente è accettarla e trasformarla in un’opportunità. Se un talento cerca una crescita rapida, perché non offrirgliela all’interno della tua azienda invece di lasciarlo andare altrove?

Questo richiede un ripensamento dei percorsi di carriera, passando da un modello lineare e verticale a uno a “mosaico”, più orizzontale e flessibile. Aziende innovative come Enel e Ferrero hanno già implementato programmi di job rotation e mobilità interna. Permettono ai giovani di partecipare a progetti trasversali in dipartimenti diversi, acquisendo un ventaglio di competenze più ampio. Il 63% dei giovani italiani, infatti, considera fondamentale la formazione continua e la possibilità di cambiare ruolo internamente. In questo modo, l’azienda non “perde” un dipendente dopo due anni, ma guadagna una risorsa multiskill che può portare valore in diverse aree del business. Si passa da una logica di “retention a tutti i costi” a una di “sviluppo continuo e ricollocamento strategico”.

Rappresentazione visiva dei percorsi di carriera non lineari per la Gen Z

Questo approccio trasforma il “rischio di fuga” in un motore di dinamismo interno, creando un ambiente in cui la crescita non è solo promessa, ma praticata. L’azienda diventa una sorta di “campus” dove si impara e ci si evolve costantemente.

L’errore di imporre il cartellino alle 9:Come trasformare un balcone di città in un’oasi per api e farfalle senza attirare zanzare tigre?

Il titolo di questa sezione può sembrare bizzarro, ma nasconde una metafora potente: così come non si può forzare la natura in uno schema rigido, non si può imporre un modello di lavoro del XX secolo a una forza lavoro del XXI. L’imposizione di orari fissi e la presenza obbligatoria in ufficio dalle 9 alle 18 sono percepiti dalla Gen Z non come disciplina, ma come una profonda mancanza di fiducia. È il sintomo di un “sistema operativo” aziendale basato sul controllo del tempo, non sulla valutazione dei risultati. Per una generazione che ha completato percorsi di studio e costruito reti sociali interamente online, l’idea che la produttività sia legata a una scrivania specifica è semplicemente incomprensibile.

La richiesta di flessibilità non è un capriccio, ma un’aspettativa fondamentale. Un report di Valore D e Fondazione Adapt conferma che per il 95% dei giovani lavoratori italiani è fondamentale poter lavorare da remoto almeno parzialmente. Rifiutare a priori questa possibilità significa rendersi non competitivi sul mercato del lavoro. Tuttavia, “flessibilità” non significa “anarchia”. Si tratta di trovare nuovi modelli organizzativi che bilancino autonomia e collaborazione, fiducia e raggiungimento degli obiettivi.

L’approccio vincente è passare da una gestione basata sul tempo a una basata sugli obiettivi (Management by Objectives). Invece di controllare a che ora un dipendente timbra il cartellino, il manager definisce KPI chiari e scadenze precise, lasciando al team l’autonomia di organizzare il proprio tempo per raggiungerli. Esistono diversi modelli per implementare questa flessibilità in modo strutturato, ognuno con i suoi vantaggi.

Modelli di flessibilità oraria per la Gen Z
Modello Caratteristiche Benefici per Gen Z Implementazione
Core Hours Presenza obbligatoria 10:00-16:00 Flessibilità parziale, work-life balance Accordi individuali smart working
Lavoro per Obiettivi Focus su KPI, non ore Autonomia completa, responsabilizzazione OKR trimestrali, metriche chiare
Settimana Corta 4 giorni lavorativi 3 giorni di recupero, maggior produttività Riorganizzazione processi

Quando far insegnare i social ai senior da parte dei junior crea coesione e valore reciproco?

In un’azienda tradizionale, la conoscenza fluisce in una sola direzione: dall’alto verso il basso, dal senior al junior. Il reverse mentoring rompe questo schema gerarchico, creando un canale di comunicazione a doppio senso che genera un valore inaspettato. L’idea di far insegnare i social media ai manager più anziani è spesso il punto di partenza, ma limitarsi a questo sarebbe riduttivo. Il vero potenziale si sprigiona quando lo scambio di competenze diventa strategico.

Un programma di reverse mentoring funziona quando va oltre il semplice “ti spiego come funziona TikTok”. I giovani talenti possono trasferire competenze cruciali per il business odierno: l’uso di strumenti collaborativi come Miro o Asana per una gestione dei progetti più agile, le basi della business intelligence per leggere i dati in modo più efficace, o persino i principi dell’AI generativa per ottimizzare i processi. Questo scambio crea un ponte tra generazioni, riducendo il divario digitale e aumentando l’efficienza complessiva del team.

L’elemento chiave per il successo, come evidenziato da diversi casi studio, è la creazione di una partnership paritaria. Il programma non deve essere visto come il junior che “fa lezione” al senior. Al contrario, funziona quando il senior agisce non solo come “mentee” (allievo), ma anche come “sponsor” del progetto. Il junior porta la competenza tecnica, il senior fornisce il contesto strategico e l’esperienza di business. In questo modo, il junior impara a pensare in termini di obiettivi aziendali, mentre il senior acquisisce strumenti pratici per raggiungerli. È un classico esempio di co-creazione di valore che rafforza la coesione e il rispetto reciproco.

Junior e senior collaborano su progetto digitale in ambiente di lavoro italiano

Per avviare un programma del genere, è fondamentale stabilire regole chiare e obiettivi misurabili per entrambi i partecipanti. Ecco alcuni punti di partenza:

  • Definire obiettivi chiari e misurabili per entrambi i partecipanti (es. “Il senior deve diventare autonomo nell’uso di tool X”, “Il junior deve presentare un’analisi basata sui dati generati”).
  • Stabilire regole di ingaggio chiare, come la regola “non ci sono domande stupide”, per creare un ambiente sicuro.
  • Pianificare un calendario di incontri regolari (es. bisettimanali di 1 ora per 3 mesi).
  • Utilizzare un template semplice per documentare le competenze trasferite e i progressi.
  • Raccogliere feedback finali da entrambi per misurare l’impatto e migliorare il programma.

Versare nel fondo pensione o farsi rimborsare le visite mediche: cosa conviene di più a lungo termine?

Questa domanda, che contrappone un beneficio a lungo termine (la pensione) a uno a breve termine (il rimborso di una spesa immediata), cattura perfettamente il dilemma che le aziende affrontano nel progettare un piano di welfare per la Gen Z. Le offerte tradizionali, come i fondi pensione integrativi o le assicurazioni sanitarie standard, pur essendo importanti, non sono più sufficienti a creare un reale fattore di attrazione. La Generazione Z ha una concezione molto più ampia e olistica del “benessere”, che va oltre la semplice salute fisica e la sicurezza finanziaria futura.

Per loro, il welfare aziendale deve supportare attivamente l’equilibrio tra vita privata e lavoro. Non è un caso che l’Employer Brand Research 2025 di Randstad mostri come per il 59% della Gen Z l’equilibrio vita-lavoro sia il driver principale nella scelta di un’azienda, superando persino lo stipendio. Questo significa che i piani di welfare più efficaci sono quelli che offrono flessibilità, personalizzazione e un supporto concreto al benessere mentale e fisico nel “qui e ora”.

Le aziende più innovative stanno quindi integrando nei loro piani benefit che un tempo sarebbero stati impensabili. Parliamo di budget dedicati al supporto psicologico e al counseling, abbonamenti a palestre o app per la mindfulness, e persino contributi per l’affitto per i giovani che lavorano nelle grandi città, dove il costo della vita è elevato. La chiave è la personalizzazione: i “flexible benefits” o “piani cafeteria”, dove il dipendente può scegliere come allocare il proprio budget welfare in base alle sue esigenze personali, sono estremamente apprezzati. Questo approccio dimostra che l’azienda non offre un pacchetto standard, ma si preoccupa genuinamente delle necessità individuali dei suoi collaboratori.

Checklist: Opzioni di welfare innovativo per la Gen Z italiana

  1. Supporto psicologico: Prevedi un budget annuale (es. 500-1000€) per sedute di counseling o terapia.
  2. Benessere fisico e mentale: Offri abbonamenti a palestre, centri yoga o app di mindfulness e meditazione.
  3. Contributo affitto: Considera un contributo mensile (es. 200-400€) per i giovani fuorisede nelle metropoli.
  4. Formazione extra-aziendale: Metti a disposizione un budget (es. 1500€/anno) per corsi certificati scelti dal dipendente.
  5. Piano flessibile: Implementa una “cafeteria” di benefit dove ogni dipendente può personalizzare il proprio pacchetto welfare.

Come formare il personale amministrativo anziano al nuovo software senza creare frustrazione?

L’introduzione di un nuovo software gestionale è spesso un momento critico in un’azienda tradizionale, un punto di frizione dove il divario generazionale emerge con forza. Mentre i più giovani, digital native, si adattano con rapidità, il personale più esperto può vivere il cambiamento con ansia e frustrazione, sentendosi inadeguato e temendo di perdere il controllo sui processi che ha gestito per anni. L’approccio classico della “formazione in aula” spesso si rivela inefficace, perché troppo teorico e impersonale.

La soluzione, ancora una volta, risiede nel trasformare una sfida in un’opportunità di collaborazione intergenerazionale. Le aziende di maggior successo, come rivela il Delta Index 2024, creano delle “squadre di apprendimento miste“. Invece di separare i dipendenti per la formazione, affiancano un giovane digital native a un collega senior esperto del processo. In questo tandem, i ruoli si invertono e si completano: il junior fornisce un tutoring tecnico one-to-one sul nuovo software, mostrando i passaggi pratici in tempo reale; il senior, a sua volta, apporta il contesto operativo, spiegando perché quel processo è importante, quali sono le eccezioni e quali i rischi da evitare. Solo il 7,1% delle imprese italiane ha implementato strategie così avanzate, ottenendo però risultati notevoli.

Questo metodo trasforma la formazione da un evento passivo a una collaborazione attiva e produttiva. La frustrazione del senior diminuisce perché ha un supporto personalizzato e paziente, mentre il junior si sente valorizzato e acquisisce una comprensione più profonda dei flussi di lavoro aziendali. È fondamentale riconoscere che ogni generazione ha un approccio preferito all’apprendimento e necessita di un supporto specifico. Imporre un unico metodo formativo è la ricetta per il fallimento.

Approcci formativi per diverse generazioni
Generazione Approccio preferito Tempi apprendimento Supporto necessario
Gen Z (18-25) Video tutorial, learning by doing Immediato Autonomia con feedback
Millennials (26-40) Blended learning, webinar Rapido Mentoring peer-to-peer
Gen X (41-55) Formazione strutturata Graduale Documentazione dettagliata
Boomer (56+) Affiancamento one-to-one Progressivo Supporto continuativo

Da ricordare

  • La Gen Z valuta un’azienda prima sui valori e poi sullo stipendio; la coerenza tra ciò che si dichiara e ciò che si fa è fondamentale.
  • Sostituire la valutazione annuale con feedback continui e informali trasforma i manager in coach e aumenta drasticamente la fiducia e la retention.
  • La flessibilità di orario e luogo non è un capriccio ma un’aspettativa di base; passare a una gestione per obiettivi è una mossa strategica.

Come mantenere produttivo e unito un team che lavora metà in ufficio e metà da casa?

Il modello di lavoro ibrido è diventato la nuova normalità, ma gestirlo efficacemente è la sfida finale per ogni manager. È qui che tutti i principi di cui abbiamo discusso — fiducia, autonomia, comunicazione e gestione per obiettivi — vengono messi alla prova. Un team ibrido mal gestito può creare divisioni tra chi è in ufficio e chi è a casa, generare inefficienze e minare il senso di appartenenza. La chiave è smettere di pensare all’ufficio come al luogo di lavoro di default e ripensarlo strategicamente.

L’ufficio del futuro non è più il luogo dove si svolge il lavoro individuale e di concentrazione (che spesso si fa meglio da casa), ma deve diventare un “hub della collaborazione“. È lo spazio fisico dove le persone si incontrano intenzionalmente per attività che beneficiano della presenza fisica: workshop di co-creazione, sessioni di brainstorming strategico, onboarding di nuove risorse e momenti di socializzazione informale. Questo richiede una pianificazione attiva: invece di lasciare libera scelta, molte aziende di successo definiscono giorni specifici in cui l’intero team è presente per massimizzare l’interazione.

I giovani non sono alieni. Sono pragmatici, veloci, e con un radar infallibile per capire se un’azienda è un luogo dove crescere o solo un’altra tappa da saltare.

– Paolo Ferrari, Osservatorio Delta Index 2024

Per garantire equità ed efficacia, è fondamentale adottare una regola “digital-first” per le riunioni. Se anche una sola persona è collegata da remoto, tutti i partecipanti, anche quelli in ufficio, si collegano con il proprio laptop. Questo evita l’effetto “serie A” (la sala riunioni) e “serie B” (chi è a casa) e garantisce che tutti abbiano lo stesso accesso a informazioni e discussioni. Investire in tecnologia adeguata e in spazi ufficio ripensati per la collaborazione (come collaboration room prenotabili e aree social di qualità) è un passo imprescindibile per far funzionare il modello ibrido.

Il cambiamento richiede un’analisi onesta dei propri processi e la volontà di sperimentare. Iniziate oggi a mappare il vostro “sistema operativo” aziendale e a pianificare il primo, piccolo aggiornamento. Non è un costo, è l’investimento più strategico che possiate fare per garantire la competitività e la crescita della vostra impresa nel futuro.

Scritto da Giulia Romano, HR Manager e Career Coach certificata, focalizzata sull'inserimento lavorativo dei giovani e sul welfare aziendale. Esperta in orientamento ITS, dinamiche di co-living e smart working.